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»18/12/2014
Speciale gennaio

 

 

Aci Castello

Durante la colonizzazione greca prima e la dominazione romana poi, la rocca sulla quale sorgono le rovine del castello normanno fu frequentata per la sua posizione strategica, che permetteva il controllo del mare e delle navi dirette allo Stretto di Messina.

L'arrivo degli Arabi segnò un periodo di distruzione e guerre, testimoniato dagli stessi scrittori arabi. La fortezza fu distrutta dall'emiro Ibrahim nel 902. Tra il 1071 e il 1081, durante la conquista dell'isola da parte dei normanni, fu costruito il castello di cui oggi si possono ammirare le strutture superstiti e gli archi a sesto acuto.

Nel 1169 un terremoto distrusse in parte il borgo che era sorto sotto il castello, cosicché gran parte degli abitanti si trasferì nel territorio circostante. Dalla fine del XIII secolo fino all'età dei Vicerè, il castello fu testimone della lunga lotta tra gli aragonesi di Sicilia e gli Angioini di Napoli. Federico III d'Aragona, re di Sicilia, tolse il fondo di Aci ed il relativo castello ai vescovi di Catania e lo concesse all'ammiraglio Ruggero di Lauria per le sue imprese militari.

Espugnato nel 1297 da Federico II d'Aragona, il borgo rimase a lungo possesso dei Vescovi di Catania. Nel 1416 il castello appartenne a Giovanni di Castiglia, primo Vicerè di Sicilia, e successivamente nel 1421, il vicerè Ferdinando Velasquez divenne il nuovo signore del castello e del feudo di Aci. Una tappa fondamentale nella storia di Aci e del suo Castello è l'anno 1528, quando l'imperatore Carlo V la rese libera da ogni vassallaggio erigendola a comune.

Nel 1647 il castello venne venduto da re Filippo IV di Spagna a Giovanni Andrea Massa. Il disastroso terremoto che sconvolse la Sicilia orientale nel 1693 recò ingenti danni al castello che furono riparati dai discendenti del Massa. Poche testimonianze nel XVIII secolo mentre nel XIX secolo il castello entrò a far parte del Demanio comunale. Agli inizi del XX secolo il castello divenne deposito di masserizie.
Peculiarità: Il Castello Normanno rappresenta una testimonianza storico - artistica e naturalistica di gran pregio. La rupe sulla quale sorge è di particolare interesse geologico: la massa liquida del magma vulcanico, lacerata dalle forze eruttive, si è sparsa infatti creando le caratteristiche forme di cavolfiore. Recentemente il Castello è diventato importante anche sotto l'aspetto più rigorosamente scientifico, ospitando al suo interno il Museo Civico, che consta di quattro sezioni: Mineralogia, Paleontologia, Archeologia, Acquario del Mediterraneo. Attualmente sono aperte le prime tre sezioni, mentre le altre sono in corso di allestimento. All'esterno del Castello è inoltre stato allestito l'Orto Botanico, una collezione di piante in prevalenza grasse, visitabile durante tutto l'anno.

Aci Castello offre anche la possibilità di visitare il Parco Letterario del Verga, un percorso lungo i luoghi ancora esistenti che ispirarono i capolavori verghiani. Archeologia: Territorio e Archeologia. Architettura: Il Castello Normanno, Chiesa Madre, Chiesa di S. Mauro Abate. Territorio geologico, naturalistico e paesaggistico: Rupe di Acicastello (Lave a pillows), Riserva Nazionale Isola Lachea e Faraglioni dei Ciclopi. Feste e folklore: Festa di S. Mauro; Festa di S. Giovanni Battista e 'La Festa Du' Pisci a Mari'; Fiera del bestiame; Sagra del Mare, Premio Siciliano di Pittura. Gastronomia: Specialità di Pesce. Miti e leggende: Il mito di Polifemo e Ulisse. Musei, biblioteche e archivi: Museo Civico del Castello Normanno, Orto Botanico del Castello Normanno, Museo "Casa del Nespolo", Parco Letterario del Verga. Personaggi: Prodotto tipico - Artigianato: Lavorazione della Pietra Lavica. Indirizzi utili: Municipio: Via Dante, n. 28, tel. 095 7371111 - Fax: 095 7371127; Museo Civico del Castello: piazza Castello, tel. 095271026;

 

 


 

Acitrezza e la Riviera dei Ciclopi

 

Il nome di un pastorello di nome Aci, innamorato di Galatea, leggiadra ninfa che viveva nei boschi alle pendici dell'Etna, e' il filo conduttore di questo territorio posto a ridosso della costa lavica e scoscesa del mare Ionio. Oltre ai centri comunali gia' elencati, anche le frazioni di Acitrezza, Aci S. Filippo e Aci Platani, ricordano il nome del giovanetto, ucciso per gelosia da Polifemo, che fu trasformato in fiume dalla pieta' di Nettuno per potersi ancora incontrare con l'innamorata. La Riviera dei Ciclopi e' caratterizzata da una costa lavica, creatasi con le innumerevoli eruzioni dell'Etna, prospiciente un mare profondo e trasparente. La linea di costa si inarca in prossimita' di Acireale, dove raggiunge un'altezza di 120 metri sul mare, prendendo il nome di "Timpa". Successivamente torna a ridiscendere, sempre col suo ruvido aspetto nereggiante, e viene ricordata come Riviera dei limoni per via dello straordinario spettacolo offerto, sopratutto nella stagione invernale, dai lussureggianti agrumeti visibili ai lati della strada. Si incontrano quindi le frazioni di S. Maria la Scala, S. Tecla, Stazzo, Pozzillo e infine, quando gli enormi blocchi lavici hanno ceduto il posto ad un litorale di ciottoli, anch'essi di matrice vulcanica, si giunge a Torre Archirafi ed alle citta' di Giarre e Riposto.

 

LA STORIA, L'ARCHITETTURA

La piu' importante citta' di quest'area, Acireale (reale perche' demaniale e non infeudata), straordinariamente ricca di edifici ecclesiastici, non e' la piu' antica, perche' si formo' nel XV secolo. Piu' datata e' la storia del Castello di Aci, forse costruito dai Saraceni, sicuramente reso funzionale in epoca normanna e partecipe a lungo delle vicende guerresche della vicina Catania. La ricchezza di acque nelle colline, e in particolare la sorgente della Reitana, nel territorio di Aci S. Filippo, favori' nei secoli passati la costruzione di una dozzina di mulini ad acqua, posti a breve distanza l'uno dall'altro lungo una "saia mastra" (un canale maestro) e resero vivace e popolata la zona grazie alla loro attivita' molitoria. La "saia" terminava a Capomulini, altra frazione marinara e oggi localita' balneare. Ma il territorio delle Aci fu abitato sin dall'antichita', come testimoniano le vestigia romane delle Terme di S. Venera al Pozzo.

 

ESCURSIONI NATURALISTICHE

Il territorio offre escursioni in barca, lungo tutta la costa e affascinanti immersioni subacquee. Sono ben quattro le aree salvaguardate: la Riserva Naturale Integrata "Isola Lachea e Faraglioni dei Ciclopi" preserva le formazioni vulcaniche legate alle prime eruzioni sottomarine nel golfo "pre-etneo", risalenti a circa 500.000 anni fa. L'Area Marina Protetta "Isole Ciclopi" ne protegge i fondali. Ma il territorio offre anche escursioni a piedi, per visitare i reconditi sentieri della Timpa, anch'essa area protetta. Una semplice passeggiata alla portata di tutti e' la discesa dal quartiere Suffragio di Acireale al borgo marinaro di S. Maria la Scala, lungo la stradina delle "chiazzette", sulle orme dei pescatori e delle lavandaie dei secoli andati. Nel territorio di S. Gregorio la Riserva Naturale Integrale "Complesso Immacolatelle e Micio Conti", interessante complesso di grotte di scorrimento lavico, con peculiarita' naturalistiche, archeologiche e storiche.

 

ITINERARI ENOGASTRONOMICI

La vocazione marinara di buona parte degli abitati di questa zona fa si' che il pesce e le altre specialita' di mare (pregiati molluschi e squisiti crostacei) monopolizzino i menu' di trattorie e ristoranti. Cucinati nelle piu' svariate maniere (in umido, frittura, al cartoccio, alla brace), richiedono l'uso di vini bianchi provenienti dalle vicine falde dell'Etna. Una specialita' da non farsi sfuggire, offerta sia nei locali piu' rinomati, sia nei piccoli bar e' la granita, preparata in svariati gusti: mandorla, caffe', pesca, gelsi, pistacchio. Da Acireale a Riposto, l'immediato entroterra produce eccellenti agrumi ed in particolare limoni e si e' sviluppata da decenni la produzione di liquori ottenuti con gli oli essenziali delle loro bucce. - Acireale (m. 161, ab. 50.200) richiede al visitatore almeno una passeggiata lungo il Corso Vittorio Emanuele per ammirare i monumenti che via via si incontrano: S. Antonio di Padova, il Palazzo Comunale, la Chiesa di S. Sebastiano, fino al Duomo ed oltre, ma tanti altri sono gli edifici civili ed ecclesiastici meritevoli di essere cercati tra le strette vie del centro storico. - Aci Castello (m. 15, ab. 18.300), borgata marinara, va visitato l'antico maniero medievale, che include un Museo Civico con reperti archeologici dal Paleolitico al Medio Evo e una collezione di minerali. Dalle sue terrazze si scorge la frazione di Acitrezza, davanti alla quale emergono dal mare i Faraglioni, alti e appuntiti scogli di nero basalto, assieme all'isola Lachea. - Altri Comuni Piu' all'interno, ma sempre ben in vista del mare, San Gregorio (m. 321, ab. 10.400), Acicatena (m. 170, ab. 27.100), Aci Bonaccorsi (m. 760, ab. 2.550) e Aci S. Antonio (m. 302, ab. 15.400) cittadine dove l’espansione urbanistica contrasta le aree occupate da rigogliosi e profumati agrumeti. Notevoli ad Aci S. Antonio la Chiesa Madre e il palazzo patrizio che fu dei Riggio. Valverde (m. 305, ab. 7.250) ariosa e ordinata cittadina e' nota per il Santuario della omonima Madonna e per il settecentesco Eremo di S. Anna.

 

 


 

 

Acireale

 

La leggenda vuole che l’insistenza del nome Aci, caratterizzante ben sette località, derivi dall’ampia eco avuta dalle sfortunate vicende amorose del bel pastore Aci e della neride Galatea, che di lui s’innamorò, suscitando l’ira del ciclope Polifemo.
Questi, folle di gelosia e di dispetto, si liberò del rivale scagliandogli contro, dalle vertiginose altezze del Mongibello, sua infernale dimora, un enorme macigno, che sommerse l’amante sfortunato.


Il sommo Giove, impietosito dal dolore di Galatea, volle tramutare l’amore dei due giovani in un gaio e imperituro fiumicello. Ma il fiume non ebbe miglior sorte del pastore, se è vero—come vuole un’altra credenza — che il nome deriva invece alle località dal fatto d’essere state, un tempo, tutte lambite dalle acque dei fiume Aci, sommerso dalle tante eruzioni dell’Etna che si sono succedute nei secoli.

 

Per gli storici, il toponimo comune risale alla migrazione cui il terremoto del 1169 costrinse gli abitanti della località fondata dai Greci — in luogo non precisato — e successivamente detta Akis dai Romani, i quali lasciarono originario insediamento e diedero luogo a diverse borgate che conservarono nella loro denominazione l’eponimo di Aci. La storia del comune di Acireale è discontinua, segnata dai terremoti e dalle eruzioni dell'Etna che più volte hanno sconvolto l'assetto del territorio, l'ultimo dei quali fu il catastrofico sisma del 1693. Alla fervida attività di ricostruzione post terremoto si deve la sua attuale veste barocca. Peculiarità La Timpa: Acireale si erge su un costone lavico, la "Timpa", che si innalza rapidamente dai 10 ai 200 metri. Costituita da millenari strati di lava sovrapposti e coperti dall'ormai rara macchia mediterranea, la Timpa rappresenta un patrimonio naturalistico e geologico eccezionale.


Essa caratterizza ben 7 chilometri della Riviera acese, dall'estremità sud a Capomulini, poi lungo S. Maria la Scala e fin oltre Santa Tecla. La Riviera è completata dalle frazioni di Scillichenti, Stazzo e Pozzillo. Le Terme: nel 1873 furono costruiti, per iniziativa del barone Agostino Pennisi di Floristella, gli edifici delle "Terme di Santa Venera", di pregevole fattura neoclassicheggiante, e del "Grand Hotel des Bains", che divennero presto un punto di attrazione di rilievo europeo. Le acque di Acireale, classificate come sulfuree salsobromoiodiche radioattive e ricche di idrogeno solforato, presentano delle eccellenti virtù terapeutiche.


Allo stabilimento fu affiancato nel 1987 quello di S. Caterina. Le feste: ad Acireale si celebrano solennemente i Santi Venera e Sebastiano. Alla prima, patrona della città, vissuta nel Il sec., gli Acesi dedicano i festeggiamenti il 26 luglio. Il seicentesco fercolo d’argento della Santa viene portato in processione per le vie cittadine, accompagnato dalle Cannalore, alti legni intagliati e decorati portati a spalla dai rappresentanti delle antiche corporazioni di arti e mestieri. Ma il principale evento religioso della città è la Festa di San Sebastiano, il guerriero romano reso martire da Diocleziano cui si attribuisce il potere di proteggere le popolazioni dall’epidemia della peste.
Il teatro dell'Opera dei Pupi: ad Acireale quest'arte popolare conobbe, grazie al "puparo" Mariano Pennisi e poi al figlio adottivo Emanuele Macrì, una stagione di successi e fama internazionale. Gli spettacoli si tengono ancora oggi in occasione di molte feste e manifestazioni cittadine.

 

Il Presepe: nel primissimo tratto della Provinciale Acireale-Riposto, sulla sinistra, è sita la Chiesa di Santa Maria della Neve, cui è annesso un bellissimo Presepe settecentesco, realizzato in un antro di origine lavica per volontà del canonico Mariano Valerio, nel 1741. L’esecuzione delle statue, a grandezza naturale, fu affidata all’acese Mariano Cormaci e poi ultimata dal romano Santi Gagliani. Si tratta di manichini in legno, minuziosamente abbigliati e col volto e le mani in cera lavorata con risultati stupefacenti per la bellezza dell’incarnato e l’espressività dei visi. Durante le festività natalizie, il Presepe è meta di un vero e proprio pellegrinaggio. Le Chiazzette: per giungere al porticciolo di S. Maria la Scala dal rione di pescatori del Suffragio, superando il dislivello di oltre cento metri della Timpa, in epoca spagnola venne costruito un camminamento a gradoni dall’andatura a serpentina, con ampie rampe scavate nella lava e lastricate. Questa strada, detta delle "Chiazzette", per la presenza, in ciascuna rampa, di una piazzetta (chiazzetta) in piano, discendeva senza soluzione di continuità, dal Suffragio, di cui rappresentava una sorta di propaggine.

 

Ancor oggi, è possibile accedervi proprio dal medesimo quartiere, attraversando però la Strada Statale 114, ch’è stata frapposta tra i due tratti dell’antica strada. Archeologia: Territorio e Archeologia, Complesso Archeologico delle Terme di Santa Venera al Pozzo. Architettura: Cattedrale Annunziata e Santa Venera, Chiesa Collegiata di S. Sebastiano, Basilica dei SS. Pietro e Paolo, Palazzo Comunale, Chiesa di san Camillo dei Crociferi, Chiesa di S. Maria del Suffragio, Chiesa di S. Antonio, Chiesa della Maddalena, Chiesa del Carmine, Chiesa di S. Domenico, Palazzo del Fiorentino, Santuario Madonna di Loreto, Chiesa dei Filippini, Terme di Santa Venera. Territorio geologico, naturalistico e paesaggistico: La Timpa.

 

Feste e folklore: Carnevale, Festa di Santa Venera, Festa di San Sebastiano, Fiera nazionale del bestiame. Miti e leggende: Aci e Galatea. Musei, biblioteche e archivi: Biblioteca comunale, Biblioteca del Collegio Pennisi, Biblioteca dell'Accademia delle scienze, delle lettere e delle arti degli Zelanti e Dafnici, Biblioteca dell'Istituto sperimentale per l'agrumicoltura, Biblioteca della parrocchia di San Paolo, Museo della civiltà contadina, Pinacoteca e Biblioteca Zelantea.

 

 


 

Catania, il centro storico

 

Catania è una città godibile in tutti i periodi dell’anno. I rigori invernali arrivano tardi mentre nel periodo estivo si può scegliere tra la calura delle spiagge balneari e il clima fresco delle alture.

La città sorge ai piedi del vulcano Etna, su un maestoso lembo di crosta rocciosa alta, scura e frastagliata, costituita dal nero basalto originato dal vulcano: la Scogliera, la perla nera del mar Ionio. Si tratta di una zona residenziale, frequentata per i suoi alberghi, ristoranti e stabilimenti balneari. La Scogliera è sorta in seguito a colate laviche di varie epoche storiche. Dopo l’eruzione del 1381, l’originaria linea costiera venne profondamente modificata e con lei parte dell'antico Porto Ulisse. Caratteristici sono la graziosa baia di S. Giovanni Licuti, con i suoi “cutuli”, blocchi di pietra lavica arrotondati dall’azione del mare, e il porticciolo prossimo a una delle ultime spiagge di sabbia nera. Nelle giornate di sole di tutte le stagioni, sono tradizionalmente frequentate dai catanesi, per prendere il sole, fare il bagno, frequentare i ristoranti e le gelaterie.

 

Più volte sconvolta dalla potenza dell’Etna, la cara-temuta Muntagna, Catania è stata nel corso dei secoli, distrutta e ricostruita sulle proprie rovine.

Il periodo successivo al terremoto devastante del 1693, viene identificato come quello della “ricostruzione” operata dalla figura di maggiore rilievo nel campo architettonico dell’epoca, Giovan Battista Vaccarini. Egli riuscì a far convivere lo stile barocco con ciò che il terremoto aveva lasciato in piedi, introducendo nelle nuove costruzioni elementi del periodo greco e romano.

 

Massimo esempio di tale connubio è la Piazza del Duomo, il cuore della Catania monumentale.
In essa si trova la Cattedrale dedicata a S.Agata, la cui costruzione originaria fu voluta da Ruggero d’Altavilla negli anni dal 1078 al 1093. La struttura fu eretta a partire dalle Terme Achillee, che si estendono su una superficie di sottosuolo coincidente con la piazza del Duomo e l’attuale Palazzo comunale. Di questo periodo normanno rimangono le absidi, la parte alta del transetto con due torri laterali. Infatti, la travagliata storia della Cattedrale attesta che fu distrutta quasi per intero dal terremoto del 1693, per poi venire riedificata nel 1709 su progetto basilicale a tre navate di Girolamo Palazzotto. Il prospetto barocco della facciata è invece opera di Giovan Battista Vaccarini che vi lavorò tra il 1733 e il 1761. La cupola di Antonino Battaglia risale al 1785, mentre il campanile di Carmelo Sciuto Patti venne aggiunto nella seconda metà del secolo successivo.

 

Al centro della Piazza Duomo fu innalzato dal Vaccarini l’originale monumento che rappresenta la memoria storica di Catania: la Fontana dell’Elefante. Sul basamento in marmo, decorato da putti e dalle figure dei fiumi Simeto ed Amenano, troneggia l’elefante in pietra lavica, sormontato da un obelisco egiziano in granito e il ricordo del sacrificio della martire Agata.


Il nome Liotru , attribuito all’elefante di Catania, deriva da quello del potente mago bizantino Eliodoro il quale, secondo la leggenda, cavalcava l’animale per spostarsi in volo da Catania a Costantinopoli.

 

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Ponendosi sul lato ovest della Piazza, di fronte alla Cattedrale, a sinistra si erge il prospetto principale del Palazzo Municipale, conosciuto come Palazzo degli Elefanti, opera del Vaccarini e di altri architetti tra cui il Battaglia.
Di fronte al Municipio vi è l’austero Seminario dei Chierici (ricostruito nel 1694), che si protende fino alle mura cinquecentesche, unendosi al Palazzo Vescovile e al Museo Diocesano. Quest’ultimo è stato inaugurato nel 2001 e custodisce le collezioni di arte sacra.


Tra il Seminario e i corpi adiacenti alla Cattedrale, si apre la Porta Uzeda, realizzata nel 1696 come scenografica apertura delle mura sulla Piazza, e intitolata al vicerè don Juan Francisco Paceco duca di Uzeda. Completano il quadrilatero urbano, le facciate di due palazzi nobiliari che si dilatano sulla via Garibaldi, e la Fontana dell’Amenano, antistante il pittoresco mercato della pescheria.

Rivolgendo lo sguardo a est, su via Vittorio Emanuele, si trova la Badia di S.Agata, l’emblema della Catania barocca. Il prospetto della chiesa è opera del Vaccarini, che lo realizzò tra il 1735 e il 1767.


Percorrendo la via Garibaldi, si giunge in Piazza Mazzini. Ciò che colpisce lo sguardo del visitatore sono i portici simmetrici, decorati da 32 colonne provenienti da scavi compiuti sotto il convento di S. Agostino, appartenute ad un lussuoso edificio di architettura civile romana. La piazza venne ampliata nei primi decenni del XV secolo finché Vaccarini, nel 1746, la rielaborò nel suo assetto attuale.

 

Percorrendo la Via Garibaldi, si giunge in Piazza Mazzini. Ciò che colpisce lo sguardo del visitatore sono i portici simmetrici, decorati da 32 colonne provenienti da scavi compiuti sotto il convento di S. Agostino, appartenute ad un lussuoso edificio di architettura civile romana. La piazza venne ampliata nei primi decenni del XV secolo finché Vaccarini, nel 1746, la rielaborò nel suo assetto attuale.

ddentrandosi nelle viuzze di Via Garibaldi, si raggiunge Piazza Federico di Svevia, un tempo promontorio bagnato dal mare.

 

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La piazza circonda il maestoso Castello Ursino, nome che deriva probabilmente da “castrum sinus”, castello del golfo, innalzato tra il 1239 e il 1250 da Riccardo da Lentini, per volere di Federico II di Svevia contro la città ribelle. La pianta del massiccio edificio richiama quella dei castelli edificati dagli Arabi, a forma quadrata, rinforzato da quattro torri alte oltre 30 m. La colata lavica del 1669 non lo scalfì ma allungò il litorale costiero di alcune centinaia di metri, relegandolo nell’entroterra. Nel corso dei secoli il Castello divenne un’importante piazzaforte militare, fu sede del Parlamento Siciliano e carcere dal XVII secolo al 1931. Oggi l’edificio ospita il Museo civico, risultato di tre grandi collezioni: quella di Ignazio Paternò Castello principe di Biscari, quella proveniente dal Monastero di S.Nicolò e quella di proprietà del barone Zappalà Asmundo.


Chiude la lunga Via Garibaldi un arco trionfale, Porta Garibaldi. Fu eretta nel 1768 su disegno di Stefano Ittar e Francesco Battaglia, in occasione delle nozze di Ferdinando III di Borbone con Maria Carolina d’Austria.

 

Da Via Vittorio Emanuele, svoltando a sinistra per Via Quartarone, l’occhio prova un nuovo senso di dilatazione imbattendosi nel Monastero dei Benedettini e l’annessa Chiesa di S.Nicolò in Piazza Dante. Il Monastero fu iniziato nella seconda metà del Cinquecento per consentire l’insediamento dell’ordine dei Benedettini a Catania. Durante i tre secoli di costruzioni, abbattimenti e ricostruzioni, il complesso si è sviluppato fino a occupare circa 100.000 mq di superficie. Il risultato fu quello di “città nella città”, seconda in Europa solo all’edificio monastico di Mafra d’Estremadura in Portogallo. Nel 1977 il monastero è passato all’Università degli Studi di Catania che ha affidato all’architetto Giancarlo De Carlo l’incarico del restauro e del recupero.

 

La Chiesa di S.Nicolò è la più estesa della Sicilia: lunga 105 m e larga 48. Fu progettata nel 1687 da Giovan Battista Contini e ripresa, dopo il terremoto del 1693, dagli Amato, da Francesco Battaglia e da Stefano Ittar che vi eresse la cupola più alta della città (64 m). Nel 1796 la facciata fu eretta per metà, fino al finestrone centrale, ad opera di Carmelo Battaglia Santangelo. Confiscata dal governo unitario nel 1866, sconsacrata durante l'ultima guerra mondiale e danneggiata dai bombardamenti, poi riconsacrata e dal 1989 ritornata ai benedettini, la chiesa è stata oggetto di numerose campagne di restauro e consolidamento. Furono necessari dodici anni per costruire al suo interno uno dei più grandiosi organi d’Europa di 2916 canne, orgoglio dell’abate Donato del Piano. Fra gli arredi sacri custoditi nella chiesa, vi è un reliquiario d’oro ricoperto da gemme, al cui interno la tradizione vuole sia custodito il chiodo che trafisse la mano destra di Cristo, dono del Re Martino.

 

Scendendo dalla collina dei Benedettini per la ripida Via San Giuliano, si giunge nella settecentesca Via Crociferi, fonte d’ispirazione per molti registi cinematografici, suggestionati dallo scenario severo del barocco catanese; tra le tante pellicole ricordiamo “Il Bell’Antonio” di Bolognini (1960) e “Storia di una capinera” di Zeffirelli (1994).
Lungo la via si susseguono una serie ininterrotta di palazzi, chiese e monasteri che hanno come fondale il cavalcavia del Monastero delle Benedettine. Le suore, che coltivano l’arte del canto, ogni anno chiudono i festeggiamenti dedicati a S. Agata all’alba del giorno 6 febbraio.


Il primo monumento che la strada offre volgendosi a sinistra, è la Chiesa di S. Benedetto. A fianco della chiesa si apre la stretta via omonima, che sale verso la piazza dominata dalla mole del Palazzo Asmundo, dotato di giardino pensile.

 

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La seconda chiesa in evidenza è quella di S. Francesco Borgia, detta dei “Gesuiti”; Unito alla chiesa, è il complesso di edifici che costituiva l’antico Collegio dei Gesuiti, oggi sede dell’Istituto Statale d’Arte.


Di fronte al collegio si trova il Monastero di San Giuliano, la perla della ricostruzione settecentesca di Catania, caratterizzato dalla chiesa preceduta dall’onda morbida delle scalinate e da un andamento convesso della facciata.  Il progetto è attribuito al Vaccarini che l’avrebbe realizzata tra il 1739 e il 1751.


Oltre l’incrocio con la via San Giuliano, la via Crociferi presenta altri edifici sacri e laici: sulla destra il Palazzo Villaruel del Battaglia, sulla sinistra la Casa dei Crociferi affiancata dalla Chiesa di S. Camillo dei Padri Crociferi, che dà il nome a tutta la strada. La via si chiude con il portale in pietra bianca di quella che fu la Villa del principe di Cerami.


La parte opposta di via Crociferi, si affaccia invece sulla Piazza S. Francesco caratterizzata dalla maestosa chiesa omonima, detta anche dell’Immacolata.
Nei pressi della chiesa, vi è la Casa Museo di Vincenzo Bellini , l ’edificio, che ospita cimeli e documenti appartenuti al grande Maestro, è stato dichiarato monumento nazionale.

Il Teatro greco-romano di Catania è addossato sul versante meridionale della collina di Piazza Dante, sede dell’antica acropoli; vi si accede da Via Vittorio Emanuele, pochi metri dopo Piazza S. Francesco. Si presenta come una cavea semicircolare, in pietra lavica, capace di ospitare oltre 7.000 spettatori. La sovrastruttura delle parti visibili è databile ai primi secoli dell’impero, e poggia probabilmente su una costruzione greca del V secolo a.C.

 

Al Teatro si affianca, sul lato ovest, l’Odeon, una piccola costruzione semicircolare al coperto, risalente ad un periodo tra il I e il II secolo d.C. Vi si svolgevano esibizioni musicali e oratorie per un massimo di 1.500 spettatori.


Nella zona sulla quale sorgono il Teatro greco-romano e l’Odeon, sono ubicati i resti delle Terme della Rotonda, costruite anch’esse nei primi secoli dell’Impero Romano. Il nome deriva dalla stanza circolare con copertura a cupola, nei cui muri sono state ritrovate 8 nicchie adibite un tempo alle cure termali. Nel VI secolo d.C. l’ambiente termale venne trasformato in chiesa cristiana.

All’interno della pescheria, si possono ammirare i resti delle Terme dell’Indirizzo.

Percorrendo da Via Crociferi la Scalinata Alessi, si giunge in Via Etnea, il salotto della città.


La strada attraversa Catania da sud a nord, da Piazza del Duomo al Tondo Gioeni, per circa 3 km.


Il suo andamento rettilineo ha come prospettiva la sagoma incombente dell'Etna.

Lungo la via Etnea si incontra la Chiesa nobiliare della Collegiata, e dopo circa 100 m si raggiunge Piazza Università. In essa si affacciano il Palazzo dell’Università e il Palazzo San Giuliano, costruiti entrambi in stile barocco nella prima metà del XVIII secolo.

 

Il Siculorum Gymnasium (letteralmente “luogo di riunione dei Siciliani” o ateneo catanese), fu fondato nel 1434 per concessione di Alfonso V di Aragona e fu la prima istituzione universitaria della Sicilia. Il grande cortile interno ci mostra l’originale progetto del Vaccarini, mentre la facciata, concepita dal Battaglia, fu ricostruita dopo il terremoto del 1818 da Mario Distefano. Il soffitto dell’Aula Magna è opera di Giovanni Battista Piparo (1755). La ricca Biblioteca Universitaria che conta 210 mila volumi contiene, oltre agli incunaboli, le prime edizioni di Orazio (ca.1470).

 

Il Palazzo San Giuliano, progettato dal Vaccarini tra il 1738 e il 1745, ha al centro un cortile. La facciata è stata ricostruita più volte e nel suo scantinato, alla fine del XIX secolo, era ospitato il teatro Machiavelli, sede del teatro di Angelo Musco.
La Piazza è illuminata da quattro candelabri bronzei con allegorie di altrettante leggende catanesi: Colapesce, i Fratelli Pii, Gammazita e Uzeda.

 

Proseguendo verso nord, si raggiungono in ordine l’incrocio più famoso di Catania “I Quattro Canti”, la Chiesa dei Minoriti,, Palazzo S. Demetrio (il primo ad essere ricostruito dopo il terremoto del 1693) e Piazza Stesicoro, in onore del famoso poeta greco che fece di Catania la sua dimora.

 

Sul lato destro della piazza sorge il Monumento a Vincenzo Bellini , a sinistra gli scavi dell’Anfiteatro Romano, il più grande degli edifici di questo genere in Sicilia, capace di ospitare oltre 16.000 spettatori. Esso è databile alla fine del II secolo d.C. ma, probabilmente, la sua costruzione ebbe inizio già ai tempi di Tiberio. Il circuito esterno della struttura ricade in una zona che comprende le odierne via Penninello, via Neve e la chiesa di S. Biagio, ma quella che possiamo osservare è solo una parte della struttura originaria oggi quasi interamente sepolta dalle costruzioni che chiudono Piazza Stesicoro.

Proseguendo da Piazza Duomo verso est lungo la via Vittorio Emanuele, si giunge presso il Complesso di S. Placido. La chiesa è uno dei capolavori del tardo barocco catanese, completata nel 1770 da Stefano Ittar. Annesso alla chiesa, è il convento che presenta nella parte sud un portale secentesco intagliato, un tempo ingresso principale.
All’interno del cortile del convento è visibile l’antico Palazzo dei Platamoni (o Platamone), nobile famiglia catanese.

 

Dalla Piazza S. Placido si giunge alla limitrofa Via Museo Biscari, dove si trova l’omonimo Palazzo del principe di Biscari, splendido esempio di barocco fastoso. L’opera nasce dal contributo di numerosi artisti che vi lavorarono nei decenni con diversi linguaggi. La parte più antica, che si affaccia su via Dusmet, nacque dal progetto di Antonio Amato (1710). All’interno aveva sede il famoso museo sorto dalla collezione settecentesca del principe di Biscari, amatore e collezionista di reperti d’epoca greca e romana. Nel 1932 la collezione privata venne donata dalla famiglia al Comune per essere sistemata nel Museo civico del Castello Ursino.

 

É per merito dell’espansione urbana di fine secolo che l’edilizia residenziale di Catania si orientò verso la creazione di ville lussuose in periferia. Gli stili prescelti vanno dal Secondo Impero fino al Liberty, un’arte libera e decorativa, nata in Inghilterra e di gran moda ad inizio Novecento.


A Catania gli edifici in stile Liberty si possono ammirare da piazza Santa Maria di Gesù al viale Regina Margherita, dal viale XX Settembre al Corso Italia, dal quartiere di Picanello fino a quello di Ognina che si affaccia sul mare di San Giovanni Licuti.

 

Questa è Catania, una città che affascina e non finisce mai di stupire e incuriosire. Monumenti, testimonianze delle civiltà greca, romana, bizantina, araba, normanna, lo splendido barocco, le molteplici chiese dalla bellezza singolare, che collocano la città nella Lista del Patrimonio Mondiale dell'Umanità (Unesco). C’è tanto da vedere e apprezzare all’ombra del vulcano più alto d’Europa!Itinerari turistici.

 

 

 

 


 

Taormina, la perla della Sicilia

 

Sull'origine di Taormina (Tauromenion, Tauromenium) molte sono le notizie, ma incerte per documentazione e poco attendibili. Diodoro Siculo nel 14° libro attesta che i Siculi, ai quali Dionisio di Siracusa aveva in precedenza concesso la terra intorno a Naxos (odierna Giardini-Naxos), occupano il Monte Tauro negli anni della XCVI Olimpiade (396 a.C.).
Essi vi si erano trasferiti spinti da Imilcone, condottiero dei Cartaginesi, perché il colle era da considerarsi fortificato per natura.


Ma volendo il tiranno di Siracusa riprendersi con violenza il territorio concesso ai Tauromenitani, essi risposero che apparteneva loro di diritto, poiché i propri antenati graci ne avevano già preso possesso prima di loro stessi, scacciando gli abitatori locali. Afferma Vito Amico che la suddetta versione sulle origini di Taormina fornita da Diodoro è contraddetta nel 16° libro, quando sostiene che Andromaco, dopo l'eccidio di Naxos del 403 a.C., radunati i superstiti li convince ad attestarsi nel 358 a.C. sulle pendici del vicino colle "dalla forma di toro", e di conseguenza il nascente abitato prese il nome di Tauromenion, toponimo composto da Toro e dalla forma greca menein, che significa rimanere. Mentre le notizie fornite da Cluverio concordano con la seconda versione di Diodoro, Strabone narra che Taormina abbia avuto origine dai Zanclei e dai Nassi.


Ciò chiarirebbe in qualche modo l'affermazione di Plinio il quale afferma che Taormina in origine si chiamava Naxos. Testimone Diodoro Siculo, Taormina, governata saggiamente da Andromaco, progredisce, risplendendo in opulenza e in potenza. Nel 345 Timoleone da Corinto, sbarca e raggiunge Tauromenium, per chiedere l'appoggio militare al fine di sostenere la libertà dei Siracusani.

 

Più tardi troviamo Taormina sotto il dominio del tiranno Siracusano Agatocle, che ordina l'eccidio di molti uomini illustri della città e manda in esilio lo stesso Timeo, figlio di Andromaco. Anni dopo soggiace a Tindarione e quindi a Gerone, anch’essi tiranni Siracusani. Taormina rimane sotto Siracusa fino a quando Roma, nel 212 a.C., non dichiara tutta la Sicilia provincia Romana. I suoi abitanti sono considerati alleati dei Romani e Cicerone, nella seconda orazione contro Verre, accenna che la Città è una delle tre Civitates foederatae. In conseguenza di ciò non tocca ai suoi abitanti pagare decime o armare navi e marinai in caso di necessità.


- Il palcoscenico del teatro greco - Nel corso della guerra servile (134 – 132 a.C.) Tauromenium è occupata dagli schiavi insorti, che la scelgono come caposaldo sicuro. Stretti d'assedio da Pompilio, resistono a lungo sopportando anche la fame e cedendo soltanto quando uno dei loro capi, Serapione, tradendo i compagni, lascia prendere la roccaforte. Nel 36 a.C. nel corso della guerra fra Sesto Pompeo ed Ottaviano, le truppe di quest’ultimo sbarcano a Naxos per riprendere la città a Sesto Pompeo che l'ha in precedenza occupata. Per ripopolare Tauromenium, dopo i danni della guerra subita, ma anche per presidiarla Ottaviano, divenuto Augusto, nel 21 a.C. invia una colonia di Romani, a lui fedeli, e nel contempo ne espelle gli abitanti a lui contrari.

 

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Strabone parla di Tauromenion come di una piccola città, inferiore a Messana e a Catana. Plinio e Tolomeo ne ricordano le condizioni di colonia romana. Con l'avvento del Cristianesimo, San Pietro destina a Taormina il Vescovo Pancrazio, che già prestava la sua opera di conversione nella regione. Vescovi "prestantissimi per santità di costumi, zelo e dottrina", scrive Vito Amico, si succedono fino all'età Araba. Poche sono le notizie in questo lasso di tempo, che annovera la caduta dell'Impero Romano d'Occidente nel 447 d.C., l'invasione dei Goti, la presenza dei Bizantini, la conquista Araba. Certo è che Taormina, occupa una posizione strategica importante per la tenuta militare del territorio circostante.

 

I saraceni l'assediano per ben due anni, prima che nel 906 d.C. venga presa e distrutta totalmente. Per essere poi nuovamente edificata, e abbellita, con il nome di Almoezia dal Califfo Al Moez. Della città si impossessa il Gran Conte Ruggero, il quale espugnato Castronovo volge alla conquista del Valdemone, cingendo d'assedio la Città, attraverso la costruzione di ben ventidue fortezze in legname: tronchi e rami formano un muro insuperabile; nondimeno i saraceni resistono per molto tempo prima di capitolare nel 1078. Taormina diviene Città Demaniale, compresa nella Diocesi prima di Troina e poi di Messina, quando la sede Vescovile viene qui trasferita. Segue le vicende della Sicilia, sotto gli Svevi e poi sotto gli Aragonesi. Nel 1410 il Parlamento Siciliano svolge a Taormina la sua storica seduta, alla presenza della regina Bianca di Navarra, per l'elezione del re successore, dopo la morte di Martino II. Nel secolo XVII Filippo IV concede il privilegio che la Città appartenga stabilmente alla Corona.

 

Nel 1675 è assediata dai francesi, che occupano Messina. La storia gloriosa volge al suo declino. I francesi di Casa D'Orleans non la ritengono Città importante. Gli Angioini ne aboliscono i privilegi di cui godeva. I Borboni se ne disinteressano, nonostante il fatto che già da parte di molte nazioni europee si manifesti un interesse verso l'amenità del luogo e verso le sue bellezze archeologiche. Taormina da adesso in poi si svilupperà, divenendo luogo di residenza del turismo elitario, inizialmente proveniente soprattutto dall'Inghilterra e dalla Germania (come Johann Wolfgang von Goethe, che citò Taormina nel suo Viaggio in Italia (Italienische Reise), il fotografo barone Wilhelm von Gloeden, e il pittore Otto Geleng).

 

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- Castelmola - Myle era il nome della città antica. Castelmola deriva dal castello normanno che sovrasta il centro abitato e dalla forma della rocca su cui si trova, vagamente somigliante ad una mola di pietra (la macina del mulino). • 396 a.C., i Siculi sostituiscono le antiche mura di pietre a secco con più validi bastioni, in previsione di un attacco di Dionisio, tiranno di Siracusa, che conquista la città nel 392. • 263 a.C., Gerone di Siracusa ottiene da Roma la legittimazione a governare. Alla sua morte, nel 214, Myle si mantiene fedele a Roma. • 902, il feroce Ibrahim, principe di Cairouàn, fa breccia nelle fortificazioni, devasta la città, fa strage degli abitanti ed esce poi da Myle per la porta che da allora è detta "dei Saraceni". • 1078, Ruggiero il Normanno sconfigge gli Arabi e li caccia dalla Val Demone, costruisce un nuovo abitato intorno al castello e lo fortifica. E' in questo periodo che il borgo comincia a chiamarsi Mola. Quando gli Svevi subentrano ai Normanni, Mola li appoggia contro gli Angioini. Nel 1282 gli Angioini sono cacciati dalla rocca e la popolazione si schiera con gli Aragonesi. I secoli seguenti sono difficili per gli abitanti, oppressi dal malgoverno spagnolo che li sottopone a pesantissimi prelievi fiscali, sacrifici e rinunce d'ogni genere. • 1738, Castelmola entra a far parte del Regno delle Due Sicilie. • 1860, l'esercito borbonico è in fuga e la popolazione vota l'annessione al Regno d'Italia.

 

- L' Isolabella - Inserita con l’art. 6 della Legge 14 del 1988, al fine di conservare e tutelare il particolare valore paesaggistico, nel piano di Parchi e Riserve della Regione Siciliana; l’Assessorato Territorio e Ambiente, con il Decreto Regionale N° 619/44 del 04.11.1998, affida la gestione della Riserva Naturale Isola Bella, al WWF Italia-ONLUS, Associazione Italiana per il World Wildlife Fund, già indicata nel 1991 come Ente Gestore. In passato, anche l’UNESCO si interessò dell’Isola Bella, sollecitando già nel 1983 le Amministrazioni ad acquisire l’isola al demanio pubblico, che fino al Luglio del 1990, momento in cui fu conquistata dalla Regione Siciliana, fu di proprietà privata. L’Isola Bella, donata nel 1806, da Ferdinando I di Borbone al Comune di Taormina, passò, in mano ai privati a causa di una carenza economica e per 14.000 lire fu acquistata da Miss Travelyan, la quale, oltre a far costruire una piccola casa, dove era solita trascorrere molte ore delle sue giornate, fu colei che introdusse le prime essenze esotiche che ancor oggi sono parte integrante del verde dell’isola. Miss Trevelyan, alla quale l'unico figlio morì subito dopo il parto, alla sua morte lasciò l'isola in eredità al marito, professor Salvatore Cacciola, sindaco di Taormina per circa 20 anni, che morì nel 1927 lasciando l'isola al suo unico nipote maschio, l'avvocato Cesare Acrosso. Fu quest'ultimo che la vendette ai Lo Turco.

 

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Anch’essi ebbero il divieto di costruire sull’isola che fu lasciata in stato d’abbandono per circa cinquanta anni, durante i quali fu sfruttata solo dai pescatori locali. Dopo questa serie di compravendite e lasciti testamentari, fu infine acquistata nel 1954 dai fratelli Bosurgi, ultimi proprietari, titolari della Sanderson & Son, industria della lavorazione di essenze agrumicole, con sede a Messina e due filiali, una a Londra ed una a Cuba. I Bosurgi furono in grado di capovolgere le sorti dell’isola costruendovi la loro residenza e valorizzandone l’ambiente senza deturparne il paesaggio; durante gli anni in cui fu abitata, l’isola divenne luogo di ritrovo per gente dello spettacolo, imprenditori ed armatori, infine, a seguito del fallimento della Sanderson, l’isola fu messa all’asta ed acquistata nel Luglio 1990 dalla Regione Siciliana.


L’ambiente Si trova lungo la costa Jonica della Sicilia, a metà strada tra Messina e Catania ed esattamente nel territorio del Comune di Messina. E’ quindi la rinomata "Perla dello Jonio" ad ospitare questo scorcio di natura immersa nell’omonima baia, incastonata tra il mare e la terra ferma e collegata a quest’ultima da una sottile lingua di sabbia, la cui forma viene continuamente modellata dalle correnti e dalle maree, dinamismo che affascina che si sofferma ad osservarla dalla vicina strada che corre lungo uno dei fianchi della Riserva o dall’alto Belvedere di Taormina; da qui, i cittadini chiesero ed ottennero l’isola da Ferdinando I di Borbone. Proprio da questa naturale balconata parte un piccolo sentiero che permette di raggiungere la Riserva direttamente dal centro abitato, attraverso scale e tratti di strada che da quota 166 m s.l.m. conducono, seguendo le naturali forme del monte Tauro, alla litoranea Strada Statale, da cui dipartono gli ultimi 134 gradini della scala d’accesso alla Riserva. La Riserva è fruibile durante tutto l’arco dell’anno, grazie al clima mediterraneo che riduce a pochissime settimane, temperature al di sotto dei 10°C e condizioni metereologiche sfavorevoli, concentrate, soprattutto, nei mesi di Dicembre e Gennaio.


Infatti, già dal mese di Febbraio e fino al mese di Novembre, qualcuno osa fare il bagno sotto gli occhi atterriti dei più freddolosi. I periodi migliori, per la visita della Riserva, restano comunque la primavera, in cui si assiste all’esplosione di colori, e la fine dell’estate, quando, dopo le prime piogge, la temperatura consente piacevoli soste al sole. Giunti in spiaggia, in prossimità dell’istmo, è possibile ammirare la baia, protetta dalle pareti dei due promontori. A Nord, infatti, il Capo Sant’Andrea, che ospita la rinomata Grotta Azzurra, ripara la baia dai venti di Grecale e di Levante, mentre a Sud, il Capo Taormina, con i suoi suggestivi faraglioni, la ripara, in parte, dai venti di Ponente. Entrambi i promontori, illuminati dai caldi colori del tramonto, il primo, e dell’alba il secondo, creano una tavolozza di colori più o meno intensi in base alle stagioni, offrendo scenari incantevoli.

 

- La flora - E’ presente in maniera atipica, per una Riserva Naturale, in quanto alla spontanea macchia mediterranea a Lentisco, Pistacea lentiscus; Euforbia arborea, Euphorbia dendroides e Cappero, Capparis spinosa, si alterna una consociazione di tipo esotico, con la Strelitzia gigante, Strelitzia augusta; il Sangue di dragone, Dracena draco; la Cycas, Cycas revoluta; si tratta comunque, di essenze provenienti da paesi in cui insiste il clima mediterraneo, tali piante trovano infatti sull’isola le condizioni idonee per crescere rigogliose. Mentre, una porzione del Capo Sant’Andrea fu interessata da un’opera di rimboschimento del Corpo Forestale. Nonostante tutto, molte delle specie presenti all’interno della Riserva sono di rilevante importanza, in particolar modo le essenze delle rupi, luoghi in cui difficili risultano gli interventi antropici. Qui si contano, infatti, un interessante numero di specie rare ed addirittura alcuni endemismi come il Cavolo bianco, Brassica incana; il Limonium ionico, Limonium ionicum e non ultimo il Fiordaliso di Taormina, Centaurea tauromenitana. - La fauna - E’ soprattutto rappresentata dagli uccelli che popolano quest’area, alcuni per l’intero arco dell’anno, altri per pochi mesi ed altri ancora soltanto per pochi giorni. Le zone maggiormente popolate sono anche in questo caso le rupi e ancor più le falesie. Abitate, per la quasi totalità, da uccelli marini fra i quali il Gabbiano reale, Larus argentatus; il Gabbiano corso, Laurus audouinii; il Passero solitario, Monticala solitarius; il Rondone maggiore, Apus melba. Nella baia, invece, troviamo interessanti specie di uccelli quali: il Tuffetto, Tachybaptus ruficollis; il Cormorano, Phalacrocorax carbo e l’Airone cenerino, Ardea cinerea che preferiscono, o meglio riescono a soffermarsi lungo la costa soltanto per brevi soste durante le battute di caccia. Anche la vegetazione, arbustiva ed arborea, offre riparo a centinaia di uccelli, fra i quali: la Ghiandaia marina, Coracias garrulus; l’Upupa, Upupa epops e la Civetta, Athene noctua; e uccelli di più piccola dimensione come il Cardellino, Carduelis carduelis; la ballerina bianca, Motacilla alba alba e la Cinciarella, Parus caeruleus. Rettili ed insetti sono fra i più numerosi abitanti della Riserva; in particolare vi è sull’isola una lucertola dalla variopinta livrea, il cui ventre è di colore rosso, più o meno intenso in relazione ai mesi in cui si osserva. Studi non recenti la indicano come specie endemica, Podarcis sicula medemi, della quale sarà necessario verificarne l’"autenticità".

 

- Il mare - Non rientra nel territorio di gestione della Riserva, pur essendone parte integrante.Offre ospitalità ad una miriade di variopinti organismi, dalle alghe che arricchiscono i fondali a tutti gli esseri che fra esse trovano ricovero e cibo. Interessanti sono gli incontri in cui ci si imbatte se si prova curiosare al di sotto della superficie. A qualche centimetro di profondità si possono vedere decine di animali, fra cui crostacei, molluschi e piccoli pesci, intenti a brulicare tra le alghe in cerca di cibo. Con l’ausilio di maschera e pinne, spingendosi a pochi metri di profondità, numerosi pesci si esibiscono in evoluzioni di gruppo che lasciano con il "fiato sospeso", mostrando i loro colori accentuati dai riflessi della luce del sole. Spingendosi ancora oltre, con qualche colpo di pinna in più, si nota il diminuire della vegetazione, a causa della minore quantità di luce presente. Anche qui comunque non mancano suggestivi incontri; questa volta, bisogna guardare in prossimità degli anfratti o delle zone d’ombra, dove è facile imbattersi in pesci o molluschi di taglie decisamente più interessanti, intenti di solito a sorvegliare l’ingresso della propria tana o appostati in attesa di una preda.


Infine, quando l’ossigeno a nostra disposizione sta per esaurirsi, costretti a ritornare in superficie, lungo la risalita siamo ancora in tempo per osservare, aiutati dalla luce che filtra, una infinità di minuscoli esseri che si lasciano trasportare dalle correnti, solitamente trasparenti o dai colori iridescenti.


- Le attività ed i servizi - L’Ente Gestore è presente sul territorio da Agosto del 1999. Il personale è composto da un Direttore e due Guardie Parco. Queste ultime svolgono attività di controllo dell’area nel rispetto del Regolamento della Riserva e delle Ordinanze emesse dalle Autorità locali, nonché di monitoraggio delle attività che si svolgono all’interno della Riserva, al fine di garantirne la regolarità, con la costante collaborazione delle Forze dell’Ordine. L’Ente Gestore coordina ed incentiva la ricerca scientifica all’interno dell’area, al fine di approfondire le conoscenze e valorizzarne, dove necessario, con interventi di conservazione, gli interessi naturalistici. E’ impegnato di concerto alle Autorità locali negli interventi di bonifica ambientale del territorio e nel diffondere la conoscenza dei beni naturali della Riserva. L’Ente Gestore cura le visite guidate sull’isola, per piccoli gruppi, durante l’anno, nei giorni di Lunedì, Mercoledì,Venerdì e Domenica, il mattino alle ore 09:30 e il pomeriggio alle ore 16:00, dietro prenotazione; ed attività di snorkeling e seawatching, nei fine settimana da Giugno a Settembre. - Come arrivare - In auto, da Messina o da Catania percorrendo l’autostrada A18 fino allo svincolo di Taormina, seguire le indicazioni per Taormina Mare, quindi imboccare la strada statale SS114 in direzione Mazzarò dove al km 47,2 si trova, lato mare, l’ingr4esso della Riserva.
A piedi, da Taormina prendere la funivia, in via Pirandello, fino a Mazzarò, proseguire da lì, sulla destra, lungo la strada statale, si raggiunge l’ingreso dopo circa 200 m; o proseguire ancora per via Pirandello fino al belvedere "Isola Bella" da cui parte un sentiero che termina dinanzi l’ingresso della Riserva. In treno, da Messina o da Catania fino alla stazione ferroviaria di Taormina-Giardini Naxos, da dove in direzione Taormina, oltre al bivio per Taormina, ancora per poche centinaia di metri, al km 47,2 si trova, lato mare, l’ingresso della Riserva. In autobus, da Catania fino alla fermata di Capo Taormina, proseguire a piedi in direzione Mazzarò, lungo la SS 114, per circa 1 km, fino all’ingresso. Da Messina scendendo alla fermata Isola Bella dinanzi l’ingresso della Riserva. In aereo fino all’aeroporto di Catania, proseguire poi in macchina, autobus o treno.

 

 
 
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